La mandorlicoltura: dalla pianta alla tavola
La storia del mandorlo affonda le proprie radici nella storia millenaria delle popolazioni euroasiatiche e mediterranee, infatti la pianta originaria dell’Asia centrale, ebbe ampia diffusione in tutto il bacino mediterraneo, tra il V e il VI secolo a.C., attraverso i commerci e le colonizzazioni delle popolazioni greche.
Il mandorlo con i suoi candidi fiori che anticipano la primavera, con il suo fusto flessibile ma forte, con i suoi frutti rigogliosi, diventa simbolo di speranza e saggezza, e per tale motivo ha generato miti e leggende. Inoltre di questa pianta viene osannata la bellezza e la sua bontà, sia nella mitologia classica e sia nelle sacre scritture; in alcuni documenti medievali, vengono riferite ricette e prodotti (come latte, burro e marzapane) realizzati dalla lavorazione della mandorla.
L’importanza riservata a questo albero da parte di differenti culture, ha indotto gli studiosi, tra Ottocento e Novecento, ad avviare delle indagini e delle classificazioni sulla pianta, infatti a partire dal 1801 il mandorlo coltivato viene indicato scientificamente, attraverso la nomenclatura binominale, come Prunus amygdalus. Tra gli autori che hanno svolto studi sulla mandorla vanno certamente citati il botanico Giuseppe Bianca (m. 1883) e lo studioso Francesco Monastra (m. 1997), entrambi hanno individuato ed esaminato le diverse cultivar impiantate nel territorio siciliano e in particolare quello avolese.
Anticamente, nel territorio siciliano, la raccolta stagionale della mandorla veniva fatta nei mesi di luglio ed agosto, e ad Avola nel rispetto della tradizione fino alla fine del Novecento veniva svolta il lunedì seguente l’ultima domenica di luglio quando si festeggiava e si festeggia la patrona Santa Venera. Oggigiorno la raccolta, eseguita da luglio a settembre, è determinata dalle condizioni climatiche e dalla maturazione della mandorla, il momento opportuno è dettato da una leggera apertura del mallo che lascia intravedere il guscio legnoso. Anche le tecniche di raccolta sono cambiate, infatti nel passato i rami venivano bacchiati (scutulati) manualmente con lunghe pertiche di legno di carrubbo o con canne (i furcuni), in modo da far cadere le mandorle, ancora con il mallo, a terra. A partire dal Secondo dopoguerra, si stendevano sotto gli alberi dei teloni che agevolavano la fase successiva della raccolta; in alcuni casi persino i paracaduti che si trovavano frequentemente nelle campagne avolesi. Oggigiorno, invece, soprattutto le aziende che posseggono ettari di mandorleti, preferisco svolgere la
raccolta meccanicamente, in questo caso il macchinario oltre a scuotere i rami dispone un grande ombrello sotto la chioma per raccogliere i frutti.
Nella raccolta tradizionale delle mandorle anche le donne venivano impiegate, infatti si disponevano in riga tra i filari degli alberi e, dopo aver eliminato i rami spezzati, riempivano di mandorle le ceste di canne intrecciate (i cuveddi), che successivamente venivano riversate nei sacchi di juta. I sacchi di juta venivano portati nei pressi della “casa di campagna” dove le mandorle venivano versate su un tavolo allestito per l’occasione, qui altre donne eliminavano i malli dal guscio legnoso con le mani e con l’ausilio di un ciottolo. A partire dagli anni quaranta del Novecento, il lavoro manuale fu alleggerito dall’utilizzo di una macchina smallatrice.
Le mandorle sbucciate venivano stese a terra ad asciugare per quattro o cinque giorni e nel frattempo, ad intervalli venivano rimescolate con i piedi o con pale di legno. Quando le mandorle erano asciutte, poste dentro sacchi di juta, erano pronte per essere vendute. Solitamente il prodotto veniva acquistato da imprese del territorio che continuavano la lavorazione della mandorla, attuando la sgusciatura. Prima del Secondo dopoguerra generalmente la fase della sgusciatura veniva svolta a mano, sempre dalle donne che attorno ad un tavolo procedevano a sgretolare il guscio con l’ausilio di uno strumento in ferro (u ciovu ri scacciare). Quando questa fase veniva conclusa, le mandorle venivano selezionate e calibrate in base alla grandezza del seme.
Ad Avola, a partire dagli anni quaranta del Novecento, la mandorlicoltura divenne un’attività economica molto redditizia, infatti nel territorio sorsero diversi opifici, collateralmente si sviluppò anche la necessità di velocizzare i tempi di lavorazione attraverso l’impiego di macchinari come la smallatrice, la sgusciatrice e la calibratrice. La macchina utilizzata per sgusciare le mandorle fu inventata e brevettata, nel 1949, dall’Officina di Costruzioni Meccaniche Sgusciamandorle avolese di Carlo Tossani e figli (CATOEF).
Le mandorle sono un ingrediente adoperato ampiamente per l’uso alimentare, infatti da esse si ricava una farina che può essere utilizzata per la produzione del latte di mandorla, della granita, del marzapane, del budino, del torrone e dei biscotti Inoltre la mandorla Pizzuta o Avola scelta, per la sua forma ovale è la più utilizzata in confetteria, sia sul territorio nazionale e sia internazionale.