La produzione del Nero d’Avola
Il paesaggio avolese, prima della massiccia diffusione degli agrumeti, era caratterizzato da mandorleti, uliveti e vigneti. Purtroppo, nell’intera isola siciliana, all’inizio della seconda metà dell’Ottocento si verificò un’epidemia di filossera che distrusse gran parte dei vigneti, che furono ben presto sostituiti da mandorleti. Ad Avola, nella metà del Novecento i pochi vigneti rimasti e i mandorleti furono estirpati e sostituiti con la più redditizia coltivazione di agrumi, e principalmente del limone. Negli ultimi decenni è stata avviata una ristrutturazione viticola, e oggigiorno la maggior parte dei vigneti si trovano nella zona pedemontana e soprattutto in contrada Bochini.
Ancora una volta è lo storico Bianca a descrivere il modo in cui la vite veniva coltivata e come avveniva la vinificazione ad Avola, nella sua Monografia agraria del territorio d’Avola (1878). Egli riferisce alcune informazioni sulle varie fasi che interessano la piantumazione della vite e sul trattamento del suolo, inoltre si sofferma sulle operazioni successive, che non venivano eseguite solo dagli uomini ma anche dai ragazzi e dalle donne.
La vendemmia avveniva tra la fine di agosto e metà settembre, ma già a maggio si provvedeva a sbarazzare a mano le viti dai getti inutili e superflui, ad attorcigliare le sommità dei tralci in modo da concentrare tutta la linfa, e a spargere le piante con la polvere di zolfo (nzulfarari) per prevenire alcune malattie. Altre notizie sulla qualità del vino Nero d’Avola e sulla sua produzione avolese sono state riferite dall’abate Paolo Balsamo, nel 1809, e da Francesco Nicotra, nel 1907.
I terreni calcarei, ben ventilati e soleggiati delle colline iblee permettono la coltivazione di diverse tipologie di vite, tra queste la più nota è il Nero d’Avola, un vitigno siciliano a bacca nera.
Questo vitigno è diffuso principalmente nel territorio siracusano e in particolare nelle aree comprese tra Avola, Noto e Pachino, dove si trovano le maggior estensioni di vigneti; inoltre è presente anche nelle zone dell’agrigentino e nell’area nissena. La vite viene allevata ad alberello, quindi rimane abbastanza bassa; questa forma di allevamento ha origini antichissime, infatti fu introdotta in Sicilia dai Greci: le viti non sono sostenute da una palificazione a fili, ma si prediligono sostegni singoli, spesso realizzati con materiali sostenibili.
La pianta è contrassegnata da acini di colore blu scuro e di dimensioni medie, con un’elevata concentrazione di zuccheri che assicura un prodotto con una gradazione alcolica importante e che si distingue per la ricchezza aromatica. Il vino Nero d’Avola con il suo colore rosso rubino intenso con toni porpora, presenta un complesso bouquet molto fruttato con sentori di frutta rossa matura (come ciliegie, more, lampone e prugna) e con note floreali e di spezie. Al palato risulta essere profondo, morbido e vellutato.
Fino alla metà del Novecento, il vino Nero d’Avola, per la sua buona struttura, veniva utilizzato, quasi esclusivamente, come vino da taglio, miscelato con altri vini per conferire al prodotto finale maggiore corpo e vigore; in particolare con i vini rossi del Nord Italia o della Francia.
Oggigiorno è possibile gustarlo in purezza, oppure può essere utilizzato anche per il blend, ovvero in aggiunta ad altre varietà di vino derivate da uve di diversa provenienza: ad esempio con il Syrah, il Merlot e il Cabernet-sauvignon. In purezza, il Nero d’Avola è un vino da aperitivo se servito a 12-14°, per accompagnare salumi e formaggi siciliani a pasta media, oppure durante un pranzo o una cena, servito a 16-18°, può accompagnare piatti di carne rossa come brasati ed arrosti, o piatti di pesce come tonno grigliato o in agrodolce.